“Vola via…

…su tra le stelle va…”

Era il ritornello della sigla di Moby Dick 5, uno dei miei cartoni animati preferiti.

Ma stavolta la canzone non si riferiva alla mitica balena bianca, bensì alla prima astronauta italiana in orbita: Samantha Cristoforetti.

La canticchiavo nella testa mentre aspettavo notizie del decollo, bloccato a lavoro e impossibilitato a vedere le immagini in diretta. La canticchiavo con una strana emozione, un sentimento che affonda le radici nei miei sogni di bambino, sogni fatti di voli spaziali, pirati stellari e robot che combattevano negli spazi siderali. Quel sogno infranto di diventare astronauta a causa di un fisico che non me lo permette, ma che non mi impedisce di tifare per ognuno di questi fantastici uomini capaci di andare lassù.

E poi lei: Samantha. Viso simpatico e paffuto, un sorriso sempre stampato in faccia, cervello che fuma e palle quadrate, più di tanti uomini. La prima donna italiana in orbita.

Poi, la triste presa di coscienza che questo paese mi è sempre più estraneo. Da un lato c’eravamo io e tanti italiani che questo 23 novembre lo aspettavamo da mesi e dall’altro l’Italia del calcio e della politica che se ne fregava.

Domenica sera è stata scritta la storia, ma soprattutto è stata scritta una bella storia. E a questo popolo servirebbero davvero delle belle storie, storie di lotta ostinata e determinata per raggiungere i propri obiettivi, per realizzare i propri sogni, momenti di poetico eroismo che – forse giustamente e naturalmente – vengono sminuiti dalla quotidiana e faticosa lotta alla crisi economica e culturale, qui dove i sogni son sempre di meno e la gente non guarda più verso il cielo, troppo impegnata a cercare in terra le briciole che ci vengono lasciate.

Lo capisco e il rammarico cresce, e l’unica cosa cosa che mi risolleva l’animo è guardare il cielo stellato, con la certezza di capire molto di più come vanno le cose lassù che non di come vadano quaggiù.